Soggetti svelati al Museo di San Marco: il “pranzo mistico” di Santa Chiara e San Francesco

Intera

Che ci siano San Francesco e Santa Chiara attorno ad una piccola mensa imbandita, è palese. Per il resto, son più dubbi che certezze. Stiamo parlando di un olio su tela esposto nel Refettorio Grande del Museo di San Marco. Poco studiato, attrae i curiosi di soggetti rari e di nature morte. Se ne sta in disparte, fra una Plautilla Nelli e un Ridolfo del Ghirlandaio, meritando, di sicuro, una maggiore considerazione. “Anonimo fiorentino sec. XVI” -si legge nella didascalia- Cena mistica di San Francesco e Santa Chiara. Dipinto su tela. Provenienza: Firenze, Convento di San Marco”. Tutto qui? La stringatezza, in realtà,  nasconde molti  interrogativi irrisolti. Chi l’ha dipinto? E quando? E da dove viene? Ma, soprattutto, che cosa raffigura veramente?

DEL MERAVIGLIOSO INCONTRO

Il soggetto, in apparenza semplice, non è per niente scontato e, fino ad oggi, non è stato pienamente riconosciuto. L’inventario storico (S. MARCO 1915) si limita ad una descrizione superficiale: “Nel mezzo è una tavoletta apparecchiata con un Crocifisso dorato e qualche vettovaglia, a sinistra una santa monaca, colle braccia incrociate sul petto e dietro di lei, in primo piano, altre due monache inginocchiate a mani giunte, come dall’altra parte, dietro S. Francesco, è un altro santo frate inginocchiato”. Giorgio Bonsanti (BONSANTI 1985) si riferisce al dipinto come “Francesco e Chiara in adorazione dell’Ostia“. Troviamo lo stesso titolo, con una piccola modifica, nella scheda di catalogo: “San Francesco d’Assisi e Santa Chiara in adorazione dell’Eucarestia” (DAL POZ 1987). Successivamente, è Chris Fischer (FISCHER 1990) a scrivere: “San Francesco e Santa Chiara assistiti da due suore e un monaco in adorazione dell’Ostia“. Da ultimo, come già anticipato, la didascalia del museo riporta “Cena mistica di San Francesco e Santa Chiara“.

L’impressione è quella di una comprensione parziale del soggetto, che prescinde dalla sua vera fonte, che è letteraria e francescana. Il dipinto, infatti, non è altro che l’illustrazione del capitolo XV dei Fioretti di San Francesco: “Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co’ suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli”.

Il testo, in un bel volgare toscano di tardo Trecento, è vivace e poetico, a tratti fiabesco. San Francesco, su richiesta dei confratelli, decide di esaudire il desiderio di Santa Chiara, che da tempo chiedeva di potere mangiare insieme a lui. “Ma acciò ch’ ella sia più consolata”– aggiunge Francesco –“io voglio che questo mangiare si faccia in santa Maria degli Agnoli (degli Angeli), imperò ch’ (poiché) ella è stata lungo tempo rinchiusa in santo Damiano, sicchè le gioverà di vedere il luogo di santa Maria, dov’ ella fu tonduta (le furono tagliati i capelli) e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio”. Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara esce del monistero con una compagna, accompagnata di compagni di santo Francesco, e venne a santa Maria degli Agnoli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov’ ella era stata tonduta e velata, sì la menorono vedendo il luogo (la accompagnarono a visitare il posto), infìno a tanto che fu ora da desinare (pranzare, mangiare). E in questo mezzo (nel frattempo) santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato (era solito) di fare. E fatta l’ora di desinare, si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni s’acconciarono (si accostarono) alla mensa umilemente. E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, sì maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l’ abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti (rapiti). E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi (Assisi) e da Bettona e que’ della contrada dintorno, vedeano che santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva, ch’ era allora allato al luogo, ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e ‘l luogo e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani (abitanti di Assisi) con gran fretta corsono (corsero) laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch’ ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono (compresero) che quello era stato fuoco divino e non materiale il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco del divino amore, del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache, onde si partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa edificazione. Poi, dopo grande spazio, tornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme con li altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale. E così compiuto quel benedetto desinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo Damiano. 

I Fioretti sono la versione in volgare, quasi alla lettera, degli Actus beati Francisci et sociorum eius. Il racconto del capitolo XV è sostanzialmente identico nelle due versioni, latina e volgare. Nel titolo in latino, però, più che il pasto comune si mette in risalto il rapimento mistico, ovvero l’estasi di Chiara e Francesco (Qualiter s. Franciscus et socii eius simul cum s. Clara fuerunt rapti in loco Portiuncule).

L’episodio dei Fioretti ci consente, finalmente, una lettura più corretta del soggetto della nostra tela.

I LUOGHI

Prima di tutto, dove ci troviamo? Siamo a Santa Maria degli Angeli, ai piedi di Assisi, nella pianura, allora boscosa, dove una chiesetta abbandonata, detta Porziuncola, venne scelta da San Francesco come sede prediletta della prima comunità. E’ qui che Francesco fonda l’Ordine dei Frati Minori, è qui che Chiara riceve l’abito religioso, è qui che, per intuizione dello stesso Francesco, viene istituito il cosiddetto “Perdono di Assisi”, l’indulgenza plenaria che richiamerà alla Porziuncola, nei secoli, moltitudini di pellegrini. E’ qui, infine, che Francesco muore, nudo sulla nuda terra, la sera del 3 ottobre 1226.

sfondo di paese

Osserviamo il paesaggio nel dipinto. Una vasta pianura fra due rilievi e, quasi all’orizzonte, un lago. Assisi è ben riconoscibile, sul colle in alto a sinistra. Si distinguono, disegnati con qualche verosimiglianza, una porta urbica, il duomo di San Rufino (ma in facciata c’è una trifora al posto del rosone) e, inconfondibile, la basilica di San Francesco (un anacronismo: la prima pietra verrà posata solo due anni dopo la morte del santo). Al termine della pianura, sullo sfondo, il Lago Trasimeno, con i suoi borghi fortificati (Magione? Castiglione del Lago?). Quasi al centro della piana, una cappella isolata, da identificarsi con la Porziuncola. A destra, un folto gruppo di alberi (è il “Cerreto di Porziuncle”, l’antico bosco citato dalle fonti, la “selva, ch’ era allora allato al luogo” dell’episodio dei Fioretti). Dietro gli alberi, sorge una chiesa più grande con campanile e altri edifici, appena accennati. Si tratta, presumibilmente, del primitivo convento di Santa Maria degli Angeli. Come è noto, per volere di Papa Pio V (domenicano e santo, celebre per la Battaglia di Lepanto), a partire dal 1569 viene costruita la monumentale basilica che, con i suoi annessi, inglobò la Porziuncola, altre cappelle legate alle memorie francescane, nonché l’antico convento. Lo sfondo di paesaggio termina, a destra, oltre la chiesa conventuale, con la sommità di una rupe fortificata, di più difficile identificazione. Potrebbe trattarsi del borgo di Bettona, citato, con Assisi, nell’episodio dei Fioretti (anche se assomiglia molto alla Rocca Maggiore della stessa Assisi).

Assisi
Lago Trasimeno e Porziuncola
L’antico convento di Santa Maria degli Angeli e un borgo fortificato (Bettona?)

DONNE E UOMINI

E veniamo a parlare delle cinque figure del dipinto, sedute in primo piano ai lati della piccola tavola imbandita, tre donne a sinistra e due uomini a destra.

Figure

Le figure femminili del dipinto sono tre, ma nell’episodio dei Fioretti Chiara lascia il convento di San Damiano assieme ad una sola compagna, di cui non si cita il nome. In effetti, solo due figure hanno l’abito da clarissa (con velo nero e soggolo bianco): Santa Chiara (seduta, con aureola e mani incrociate sul petto) e un’altra figura (inginocchiata, con il nimbo radiante dei beati sulla testa e le mani giunte in preghiera). La terza figura femminile, inginocchiata, senza aureola e con le mani giunte, che indossa una veste nera e un velo bianco, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni (S. MARCO 1915 e FISCHER 1990), non sembra una suora, ma è, verosimilmente, la committente o donatrice dell’opera (già in DAL POZ 1987). L’abito della donna corrisponde a quello delle signore mature, sposate o vedove, ben attestato dalla fine del XV sec. Si veda, a titolo di esempio, l’abbigliamento di Nera Corsi ritratta dal Ghirlandaio nella cappella Sassetti di Santa Trìnita a Firenze; oppure, sempre dello stesso artista, Francesca Pitti nella Cappella Tornabuoni di Santa Maria Novella; infine, in ambito francescano, la donatrice con San Bernardino in un trittico bolognese della seconda metà del ‘400, da un convento di clarisse (Bologna, collezioni comunali d’arte).

La donatrice del dipinto
La donatrice del dipinto

Passiamo alle due figure maschili.  San Francesco, seduto come Chiara, è raffigurato barbuto, con i chiodi nelle stimmate, orante con le braccia allargate. E’ accompagnato da un solo frate, curiosamente per metà inginocchiato e per metà seduto, con il  nimbo dei beati sulla testa, le cui mani sono giunte ma con i palmi aperti. La proposta della scheda di catalogo (DAL POZ 1987), che lo identifica come frate Leone, non può essere accolta: il capitolo XV dei Fioretti, infatti, come per la compagna di Chiara, tace il nome del frate che si siede accanto a Francesco. Il testo ci dice anche che, dopo quel frate, tutti gli altri compagni di Francesco si accostarono alla mensa. Ma l’artista, comprensibilmente, ha preferito non tenerne conto.

Il compagno di San Francesco
Il compagno di San Francesco

 

GLI EVENTI

Descritte le cinque figure, è il momento di capire che cosa sta accadendo. Una volta seduti a tavola, prima di mangiare Francesco cominciò a parlare di Dio  sì soavemente, sì altamente, sì maravigliosamente, che la grazia divina discese su di loro e tutti furono rapiti in estasi. E mentre se ne stavano così rapiti, con gli occhi e le mani alzate verso il cielo, da Assisi, Bettona e dal territorio circostante sembrò che Santa Maria degli Angeli, la chiesa, la pianura e il bosco andassero a fuoco come per un grande incendio. Al che gli Assisani in tutta fretta corsero giù a valle per spengere le fiamme, credendo veramente ch’ ogni cosa ardesse: questo è il momento del racconto illustrato nel dipinto. Il testo continua, spiegando che gli uomini di Assisi, giunti nel luogo dell’incendio, non vedendo alcun fuoco materiale, compresero che si era trattato di un fuoco divino, segno del divino amore di cui ardevano le anime di quei santi frati e sante monache.

Pertanto, il grande bagliore dorato fra nubi, piuttosto abraso, che sovrasta la scena del dipinto, altro non è che il grande fuoco mistico del racconto. Brucia il cielo e bruciano gli alberi del bosco (le chiome brillano di scintille d’oro; qualche piccolo riflesso dorato si nota anche sul tronco, al centro, cui sembra appoggiarsi la piccola tavola). In Assisi (davanti ad una porta urbica), nella valle verso il Trasimeno e sul sagrato della chiesa conventuale è ben rappresentato, pur in dimensioni piccolissime, data la lontananza, l’agitarsi convulso delle persone, cittadini, contadini, frati e viandanti. C’è chi gesticola, chi indica il cielo, chi allarga le braccia, chi pare distratto e chi accorre solerte verso il luogo dell'”incendio”.

"fuoco divino"
il “fuoco divino”
"Incendio" nel bosco
la selva “arde”
la folla accorre da Assisi

UN DETTAGLIO SPECIALE 

Trasimeno e Porziuncola Porziuncola

Chiara, invitata da Francesco, lascia il convento di San Damiano. Appena giunta a Santa Maria degli Angeli, si reca a pregare in Porziuncola, davanti all’altare della Vergine, dove le erano stati tagliati i capelli ed aveva abbracciato la vita religiosa (E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov’ella era stata tonduta e velata…). Nel dipinto, come già detto, la Porziuncola è identificabile nella cappella isolata, quasi al centro della pianura. Se si osserva bene, si notano piccolissime figure umane, dentro e fuori la chiesetta. Inginocchiati in preghiera, di fronte all’ingresso, si riconoscono, per la veste e per le aureole, Santa Chiara e San Francesco. Ma è all’interno che appare un particolare insolito: una scena di Annunciazione, una sorta di apparizione miracolosa davanti ai due santi in preghiera, con l’angelo inginocchiato e benedicente che porta gigli bianchi a Maria. Una scena assolutamente inedita, non riscontrabile in alcuna fonte francescana. Nei Fioretti si parla di un altare dedicato alla Madonna (il titolo della chiesa, difatti, è Sancta Maria de Portiuncle) e si può supporre che ai tempi di Chiara e Francesco ci fosse un’immagine della Vergine, dipinta o scolpita. Qui, però, vediamo chiaramente una scena di Annunciazione. Ebbene, nel 1393 (ci sono data e firma) Prete Ilario da Viterbo, pittore, esegue la grande pala per l’altare della Porziuncola, con Storie del perdono di Assisi, visibile ancora oggi. Il pannello centrale raffigura proprio un Annunciazione (e anche qui l’angelo, pur nell’ovvia diversità di stile, è inginocchiato e benedicente). Onestamente, non sembra una coincidenza. La minuscola Annunciazione della nostra tela, quasi un “dipinto nel dipinto”, pare davvero un riferimento puntuale al vero altare della Porziuncola. Un dettaglio veramente speciale.

Annunciazione di Prete Ilario sull'altare della Porziuncola (1393)
Annunciazione di Prete Ilario sull’altare della Porziuncola (1393)

Porziuncola Porziuncola Annunciazione (2)

 

LA MENSA COME SIMBOLO

mensa

Al centro del dipinto, vediamo la piccola tavola apparecchiata. Per la precisione, il centro geometrico dell’opera  è costituito, sopra la tavola, da un crocifisso dorato trilobato di tipo astile (privo di base di appoggio), addossato ad un troncone che emerge da dietro. Allo stesso troncone si appoggia uno stelo di gigli bianchi. Il crocifisso è attributo usuale dell’iconografia di Francesco (più raramente di Chiara), mentre i gigli sono associati indubbiamente a Chiara (talvolta anche a Francesco), simbolo di purezza e verginità. Il troncone, forse mero espediente, potrebbe essere un riferimento alla profezia cristologica di Isaia 11,1-2 (“un germoglio spunterà dal tronco di Jesse”).

Raccontano i Fioretti: “santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare“. Nel nostro dipinto, invece, la mensa è rialzata da terra e si  intravede in basso, appena accennata, una  struttura muraria in mattoni che pare sostenere anche il ripiano in pietra grigia su cui siedono Chiara e Francesco (un muretto? una panca?). Sullo stesso ripiano, al centro, è stesa una tovaglia da altare, bianca e di lino (secondo la norma liturgica). La tovaglia ritrae un tessuto “di tipo perugino” (S. MARCO 1915), ricamato a “punto Assisi” (DAL POZ 1987).

Il margine della tovaglia è decorato in blu con, dall’alto: 1) iscrizione latina VBI CHARITAS ET AMOR IBI DEVS EST (“dove è carità e amore, lì c’è Dio”); 2) sagome di angeli in profilo, inginocchiati e affrontati, ai lati di calici con patena (piattino su cui viene posta l’Ostia), fra elementi decorativi.

Ubi Charitas

L’iscrizione latina Ubi charitas (più erudito dell’usuale caritas) è l’inizio dell’antico inno De Caritate di Paolino di Aquileia, cantato ancora oggi, legato all’ esposizione e adorazione del Sacramento e ai riti del Giovedì Santo (Messa in Cena Domini e Lavanda dei piedi). La tovaglia da altare, l’iscrizione latina e il ricamo figurato (calice e patena) sono riferimenti evidenti al culto eucaristico.

E’ innegabile che alla descrizione, quasi alla lettera, dell’episodio dei Fioretti, si intrecci qui una rappresentazione più simbolica e dottrinale,  peraltro assolutamente coerente in ambito conventuale (forse per un refettorio?): la mensa di Chiara e Francesco come “figura” della mensa eucaristica. Tuttavia, è altrettanto incontestabile che il capitolo XV dei Fioretti sia la fonte primaria del soggetto e che il dipinto ne rappresenti l’illustrazione. Onestamente, pur tenendo conto della simbologia eucaristica, non sembrano condivisibili interpretazioni quali Francesco e Chiara in adorazione dell’Ostia (BONSANTI 1985, FISCHER 1990) o  dell’Eucarestia (DAL POZ 1987). Nell’attuale didascalia del museo, Cena mistica di San Francesco e Santa Chiara, la lettura “eucaristica” permane, ma più sfumata.

QUEL BENEDETTO DESINARE 

Ma siamo sicuri che Chiara e Francesco si incontrino “a cena”? Nel testo dei Fioretti, è interessante notare, in riferimento al pasto, l’uso di due distinti vocaboli, mangiare e desinare. Il secondo specifica il primo. Desinare, ancora in uso in Toscana, indica il pasto principale della giornata, tradizionalmente associato al pranzo. L’espressione è l’ora di desinare significa è l’ora di pranzo, ovvero è mezzogiorno (sì la menorono vedendo il luogo, infìno a tanto che fu ora da desinare; e fatta l’ora di desinare). Pare indubbio che l’episodio si svolga di giorno, fra la mattina e il pomeriggio, quando Chiara, ragionevolmente prima dell’imbrunire, ritorna a San Damiano. Pertanto, quel benedetto desinare, descritto nel testo e illustrato nel dipinto, in realtà non è una “cena”, bensì, più correttamente, un “pranzo”. Così lo intese, da buon fiorentino, anche Piero Bargellini, scrittore e sindaco di Firenze al tempo dell’alluvione, grande appassionato di Beato Angelico e di San Marco. Fra i racconti de I Fioretti di Santa Chiara (Assisi, 1975), troviamo infatti Il pranzo nel bosco, riscrittura fresca e poetica dell’incontro di Chiara e Francesco a Santa Maria degli Angeli.

LA MENSA UMILE

natura morta

 La piccola tavola imbandita è descritta nei Fioretti come mensa umile e, negli Actus beati Francisci, come mensa paupercola (poverella) e mensam humilissimam. Il pranzo di Chiara e Francesco è immagine delle virtù francescane di semplicità e modestia, in riferimento sia all’apparecchiatura sia al pasto vero e proprio. Per quanto riguarda il cibo, nel testo si dice che Francesco cominciò a parlare di Dio per la prima vivanda (pro primo autem ferculo, nella versione latina). Dunque era stato servito un primo piatto, cui potevano seguirne altri, ma l’estasi interrompe il pasto. Alla fine dell’esperienza mistica, Francesco, Chiara e gli altri, bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale (de alio cibo parum aut modicum curaverunt). Par di capire che mangiarono a stento la prima vivanda, e forse poco altro.

Nel dipinto, oltre al crocifisso e ai gigli di cui si è già detto, sulla tovaglia sono disposti un boccale contenente vino rosso, frutta, due ciotole di legno (riempite di acqua o minestra), due pani e un coltello dal manico in osso. Il boccale, associabile alle produzioni conventuali montelupine del XVI sec., è in maiolica bianca con al centro, in blu, il trigramma di Cristo diffuso da Bernardino da Siena: JHS (indizio di una provenienza francescana osservante). Per quanto attiene la frutta, si possono distinguere, verosimilmente, due prugne e quattro pere. C’è poi una cucurbitacea, forse una zucca o un cetriolo. Se le prugne, dal colore rosso-violaceo, potrebbero significare la passione e morte di Cristo, nonché la sua charitas, le pere (qui di tre tipi) sono spesso associate alla Vergine e a Gesù per la loro dolcezza che richiama la soavità delle virtù cristiane. C’è anche una tradizione secondo cui l’albero della vita dell’Eden sarebbe stato un pero. Con il  legno dell’albero della vita, secondo la Leggenda della vera croce, sarebbe stata costruita la croce di Cristo. Le pere, pertanto sarebbero un altro riferimento, come le prugne, al sacrificio di Gesù. Infine, la cucurbitacea, sia essa una zucca o un cetriolo, è spesso un attributo del profeta biblico Giona, “figura”, per i cristiani, di Cristo morto e risorto.

Al di là delle possibili simbologie, la piccola mensa del dipinto raffigura, come già accennato, l’ideale francescano di umiltà e povertà e rappresenta, dal punto di vista artistico, un bell’esempio di natura morta.

Intera

DA DOVE VIENE

 Che il dipinto provenga da San Marco lo dice l’inventario storico del museo (S. MARCO 1915), che presenta due versioni, una manoscritta (“dal magazzino del museo. già del convento”) e una dattiloscritta (“dal magazzino del museo. già nel convento”). Il passaggio fra “del” e “nel”, da un punto di vista letterale, non è di poco conto, perché suggerirebbe una presenza dell’opera a San Marco in epoca ancora conventuale, prima dell’apertura del museo. Onestamente, non credo si possa dare valore assoluto ad un inventario abbastanza tardo, iniziato nel 1915 e chiuso nel 1924. Non solo. Ragionevolmente, il “nel” dattiloscritto potrebbe essere un mero refuso (al posto di “del”). E se la lezione autentica fosse “del”, è lecito supporre che “già del convento”, un’espressione che ricorre anche altrove nell’inventario, potrebbe riferirsi al solo “magazzino”, che, semplicemente, era stato prima del convento e poi divenne del museo. In sostanza, l’inventario attesterebbe solo una presenza nel magazzino del museo, peraltro in epoca piuttosto recente (1915-24).

Molti elementi, d’altra parte, inducono a sostenere con convinzione una provenienza conventuale francescana, probabilmente femminile (già in DAL POZ 1987). Si potrebbe supporre, in aggiunta, che il convento d’origine fosse legato all’Osservanza francescana (boccale con il trigramma di S. Bernardino) e che la tela, per il suo soggetto, decorasse la parete di un refettorio. La cornice centinata, databile alla seconda metà del ‘700 (DAL POZ 1987), farebbe pensare ad una collocazione conventuale almeno fino all’età napoleonica. Si potrebbe ipotizzare, alla pari di molte opere “francescane”, un “passaggio” del dipinto, in epoca tardo-lorenese, dal convento di San Gerolamo sulla Costa San Giorgio, già sede delle terziarie francescane, dove, tornato al potere Ferdinando III di Lorena, dal 1820 al 1866 furono ospitate le religiose dei cenobi francescani femminili, dispersi a seguito delle soppressioni napoleoniche. La tela potrebbe provenire, in origine, proprio da uno di quei conventi: lo stesso San Gerolamo, Monticelli, Montedomini, Sant’Orsola, San Iacopo in via Ghibellina, Santa Elisabetta di Capitolo, San Matteo in Arcetri, Sant’Onofrio di Fuligno. Tanti erano i luoghi del francescanesimo femminile in città, dalle terziarie alle clarisse. Conventi che spesso, a causa degli eventi tumultuosi della storia (si pensi all’assedio di Firenze, alle razzie e alle soppressioni), cambiarono sede, costringendo le religiose a trasferire carte, arredi e opere d’arte. Traslochi e chiusure, come è noto, hanno causato frequentemente dispersioni, trafugamenti o mere dimenticanze. Un destino che potrebbe avere riguardato la nostra tela e che spiegherebbe la reticenza documentaria. Nuove informazioni, verosimilmente, potrebbero essere acquisite studiando i fondi d’archivio dei conventi soppressi.

Un enigmatico numero 4.9. dipinto di rosso, è ben visibile sulla tela, in fondo a sinistra. E’ forse, il riferimento ad un inventario sconosciuto. Se ritrovato, potrebbe forse chiarire qualche dubbio sulla provenienza. E perché, in cerca di indizi, non guardare anche il retro della tela e della cornice?

CHI E QUANDO 

Il nome dell’artista è anonimo.  Nell’inventario storico (S. MARCO 1915) si parla di “maniera umbro-toscana” del XV-XVI secolo.

Giorgio Bonsanti (BONSANTI 1985), giudicando il dipinto “paragonabile” alla Deposizione di Suor Plautilla Nelli (nella stessa sala), lo ritiene “anch’esso estraneo a uno stile “professionale”, in quanto riferibile piuttosto a un frate che, senza essere né Lorenzo Monaco, né l’Angelico, né Fra Bartolomeo, si impegnava a rifornire di dipinti il proprio convento e altre sedi, forse di campagna. Entro quest’ottica, che ne rende difficili datazione e localizzazione geografica, risulta un’opera degna d’attenzione, assai interessante iconograficamente, dal momento che rivela brani di pittura “maggiore”, redatti con manualità non certo disprezzabile, come dimostra la tovaglia con la semplice natura morta”.

La scheda di catalogo (DAL POZ 1987), seguendo Bonsanti, parla di un probabile “pittore ‘sui generis’, dotato di una cultura religiosa profonda, probabilmente conventuale, come dimostra l’iconografia semplice ricca di precisi riferimenti simbolici. Più che ad un frate, penseremmo ad un’opera di Plautilla Nelli“. Per quanto riguarda la datazione, la scheda propone il terzo quarto del XVI secolo (1550-1574), mentre per Chris Fischer (FISCHER 1990) “è sicuramente da datarsi alla metà del secolo XVI”. Più cautamente, infine, la didascalia museale riporta “Anonimo fiorentino sec. XVI”.

Personalmente, auspicando una rivalutazione della qualità artistica e culturale dell’opera, che necessita peraltro di un adeguato restauro, suggerirei una datazione entro la metà del XVI secolo. Quanto all’autore, di scuola fiorentina ma con una conoscenza approfondita, probabilmente diretta, dei luoghi francescani umbri, propenderei per un artista di ambito non distante da Ridolfo del Ghirlandaio.

Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, Veduta della Certosa del Galluzzo, particolare della Madonna con Bambino in gloria fra i SS. Jacopo, Lorenzo, Francesco, Chiara e l’abate Lorenzo Buonafede, Cenacolo di San Salvi.

ALTRE MENSE 

Non è facile trovare altre opere con questo soggetto. In Toscana, si possono ricordare due dipinti del ‘600. Il primo, in ordine cronologico, è attribuito a Giovan Pietro Naldini (Settignano 1580 – Prato 1642) e si trova nel Museo Civico di Prato, indicato, con la consueta sottovalutazione della fonte letteraria, come La cena eucaristica di San Francesco e Santa Chiara. Proviene dall’altare del convento femminile di Santa Chiara in Calimala a Prato e, curiosamente, è realizzato su una tela da tovaglia. Sulla tavola imbandita si vedono vino, sale, uova, pane e salame. Il secondo dipinto si trova a San Miniato (Pisa), nel grande complesso francescano dedicato a San Francesco. Il refettorio conventuale conserva una grande tela del fiorentino Carlo Bambocci (1632-97), descritta nei testi come La cena di San Francesco e Santa Chiara (1691). Il dipinto più noto, tuttavia, si trova in Spagna, a Barcellona, esposto nel Museo Nazionale d’Arte di Catalogna con il titolo La cena di San Francesco e Santa Chiara nel convento di San Damiano (in realtà l’incontro, come sappiamo, avviene a Santa Maria degli Angeli). E’ opera di Antoni Viladomat (Barcellona 1678-1755) e fa parte di una serie di venti tele sulla vita di San Francesco, databili al 1729-33, provenienti dall’ex convento di San Francesco in Barcellona.

Giovan Pietro Naldini, Museo civico di Prato
Giovan Pietro Naldini, Museo civico di Prato
Antoni Viladomat, Museo Nazionale d'Arte di Catalogna (Barcellona)
Antoni Viladomat, Museo Nazionale d’Arte di Catalogna (Barcellona)

 

DALLA TELA ALLA PELLICOLA

Mi piace ricordare, in conclusione, che dal Capitolo XV dei Fioretti è tratto uno degli episodi più poetici del film Francesco, giullare di Dio di Roberto Rossellini (1950), dal titolo “Del meraviglioso incontro di Santa Chiara con Santo Francesco in Santa Maria degli Angeli“. Al racconto dei Fioretti si intrecciano vicende tratte dalla Vita di Fra Ginepro e il risultato è un’ispirata semplicità, un’armonia evangelica dai toni lirici e fiabeschi. Semplicità e armonia che troviamo, non per caso, anche nel Pranzo mistico di Santa Chiara e San Francesco del Museo di San Marco. Un soggetto finalmente svelato.

Alessandro Santini

Chiara e Francesco in preghiera alla Porziuncola prima del pranzo
Chiara e Francesco in preghiera alla Porziuncola prima del pranzo
Il pranzo mistico
Il pranzo mistico

Riferimenti bibliografici

S. MARCO 1915= Inventario S. Marco e Cenacoli 1915, n. 720 (due versioni, manoscritta e dattiloscritta)

BONSANTI 1985= Giorgio Bonsanti Il Museo di San Marco a Firenze, 1985, pp. 48-49

DAL POZ 1987= Schede di catalogo OA, n. 09/00285004  (dipinto) e n. 09/00285038 (cornice), compilate da Lorena Dal Poz  (1987)

FISCHER 1990= Chris Fischer, “Fra Bartolommeo e il suo tempo” in “La chiesa e il convento di San Marco a Firenze”, vol. II, Firenze 1990, p. 211

2 commenti

  1. Molto interessante – grazie! C’e una lunetta raffigurante “la cena mistica di SF e SC” (una di 29 affreschi sulla vita di San Francesco)) nel convento di San Francesco (oggi la Misericordia) a Borgo a Mozzano, che proprio in questo momento si restaura. Posso inviarvi una fotografia se vi interessa. Ho scritto un libretto su questo ciclo (testo italiano-inglese) che sara publicato alla fine dell’anno.

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    1. Grazie per questo prezioso contributo! Aggiungiamo così un’altra tessera al mosaico. Ancora un esempio toscano, e di ambito conventuale. Con grande curiosità, daremmo volentieri un’occhiata al dipinto. Può inviare la foto e altre eventuali comunicazioni a: quellidelmuseodisanmarco@gmail.com
      Ci faccia sapere quando sarà disponibile il suo testo.

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