Cenacoli fiorentini#6 Grande adagio popolare: il gesto di Virgilio Sieni nella biblioteca di San Marco. Una conversazione con Sergio Racanati

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Virgilio Sieni è uno degli artisti più visionari e necessari che Firenze oggi possa vantare nel mondo. Coreografo dalla formazione eteroclita, che va dall’architettura alla body art, dallo sciamanesimo al teatro Nō giapponese, è attivo sulla scena teatrale fin dal 1983. Dagli anni novanta segue un suo originalissimo percorso di ricerca sul corpo, passando per le arti visive, l’antroposofia, lo studio della tragedia greca, l’antropologia.

Negli anni 2000 comincia a collaborare con Giorgio Agamben e nel 2007 fonda l’Accademia sull’arte del gesto, un progetto itinerante che a partire da Cango Cantieri Goldonetta di Firenze si irradia in tutta Europa, coinvolgendo danzatori e persone di tutte le età, provenienze e abilità. L’incontro con Agamben lo introduce al dialogo con Lucrezio, Claude Lévi-Strauss, Jean-Jacques Rousseau, Simone Weil; un dialogo mai intellettualistico, sempre ricondotto all’interesse primario per l’umano e la sua espressione corporea. Dal 2012 è direttore artistico della Biennale di Venezia danza. La sua pratica riesce a coniugare il grande respiro delle operazioni culturali con l’attenzione per il dettaglio e la scarnificazione del gesto quotidiano più umile e feriale.

Per orientarci nel mare magnum dei suoi progetti di arte e democrazia, delle sue incursioni nei musei, dei numerosi rapporti produttivi avviati con enti nazionali e locali, delle pubblicazioni nella Collana del Gesto in collaborazione con Maschietto Editore, abbiamo chiesto aiuto a Sergio Racanati, un giovane artista pugliese che conosciamo dal 2011, da quando l’abbiamo incontrato alla settima edizione di Private Flat Shameless (arte contemporanea in spazi privati), dove era presente con la performance KriticAlone in uno degli spazi della rassegna. Racanati non è solo un interlocutore esperto, ma partecipa come amateur al Grande Adagio Popolare che Virgilio Sieni ha pensato per i Cenacoli fiorentini (dall’11 al 13 giugno 2016), in particolare nell’azione coreografica dentro la biblioteca monumentale del Museo di San Marco.

L’impressionante adesione di Sergio Racanati alla poetica di Virgilio Sieni, oltre a regalarci un penetrante gioco di specchi, ci permette di entrare nel laboratorio pedagogico del maestro e coglierne gli aspetti più umanistici e spirituali.

Sergio Racanati, [VLEN] performance contest specific, 2015, prodotto da Eclettica, curato da Giusy Caroppo, Foto Marco Rich Albanese
Sergio Racanati, [VLEN] performance contest specific, 2015, prodotto da Eclettica, curato da Giusy Caroppo, Foto Marco R. Albanese

Eccoci. Noi ci siamo incontrati nel 2011 a PF#7, in cui eri presente con una performance che sembrava una sorta di corteo processionale in pieno centro. Ora ti ritrovo di nuovo a Firenze, apparentemente a fare tutt’altro, con Virgilio Sieni. Raccontaci, intanto chi sei, da dove vieni, a che punto sei della tua ricerca.

Più che da dove vengo, credo sia interessante mettere a fuoco il punto attuale della mia ricerca, dove le riflessioni che ho attuato mi hanno portato. Mi hanno portato a precisare sempre di più l’attenzione su alcuni focus, alcune specificità: più che il concetto in senso astratto, la pratica e la messa in pratica di che cos’è un territorio, di cosa si intende per territorio; come uno lo sente, lo vive, lo attraversa, lo immagina, lo esperisce, lo trasmette, lo può traslare. Il territorio non è semplicemente una definizione geografica, non è una “cartolina”. Per chi fa arti visive spesso si riduce a una fotografia; tutti vogliono fare mappature di luoghi: non mi interessa la fotografia in quanto medium di luoghi.

Per me il territorio è fatto di interazioni tra l’uomo e la natura nel tempo; è la nostra proiezione in un determinato contesto, in un determinato sistema di relazioni sociali, politiche, emotive e quindi etiche. Questo è il cruccio fondamentale, esistenziale della mia ricerca. Da qui partono tutta una serie di derive, di costellazioni, di temi sui quali poi poggio le ulteriori riflessioni, che sono le autoproduzioni, i meccanismi di conflitto con le istituzioni di potere, l’archivio, la morte di un archivio, il museo quale istituzione di potere, come aveva abbondantemente detto Michel Foucault…

Su quest’ultimo tema poi ritorniamo perché con il Museo di San Marco e la sua biblioteca dovrai confrontarti, quando parteciperai al quadro coreografico di Virgilio Sieni.

Il museo è ancora oggi un luogo di potere in cui i direttori, o chi per loro, attraverso un sistema complesso di controllo, decretano quali sono le opere che entreranno nella tradizione, nella storia; cosa preservare e cosa no. Ma lo statuto dell’arte contemporanea, nel quale mi riconosco, in cui un’opera non ha una sua perpetuabilità o permanenza, ma piuttosto una fragilità nella sua essenza, perché nel suo farsi si è già disfatta, non è compatibile con il concetto corrente di museo… Ecco: un altro tema che mi interessa è la “disfatta”. Così come mi interessano la deriva, l’archeologia, la memoria collettiva…

Ci si può sempre porre in una dimensione dialettica con un luogo di conservazione della “memoria collettiva”. Poi, un museo non è solo un reliquiario della tradizione: è, o dovrebbe essere, anche un luogo di produzione culturale, un organismo vivo, uno strumento di educazione alla cittadinanza, che promuove l’appartenenza a un’identità culturale.

Creare appartenenza a un’identità culturale è un concetto che considero importante. Non mi pare, però, che il museo così com’è oggi, sia un luogo vivo o di produzione culturale.

Raccontami come è avvenuto l’incontro con questo poeta e filosofo della danza che è Virgilio Sieni.

Il primo incontro con Virgilio Sieni, al di là del conoscere la sua opera, la sua poetica, i lavori che ha diretto e progettato, insieme alle opere coreografiche di interazione urbana, il primo incontro face to face l’ho avuto quest’anno al MiArt (MiArt è una fiera che si svolge a Milano, in cui moderno e contemporaneo dialogano tra loro, n.d.r.), ad aprile, durante una conferenza aperta al pubblico con Hans Ulrich Obrist. Un confronto emozionante tra due maestri riconosciuti, due punti di riferimento forti, con carriere consolidate, griffate se vogliamo, provenienti da due sfere di produzione culturale diverse, le arti visive e la danza, categorie i cui confini, ormai, quando si parla di arte non dovrebbero esserci più.

Incontro tra Hans Ulrich Obrist e Virgilio Sieni al MiArt, Milano, 9 aprile 2016
Incontro tra Hans Ulrich Obrist e Virgilio Sieni al MiArt, Milano, 9 aprile 2016

Tu, quindi, a fine conferenza ti sei avvicinato a Sieni e…

Quando la conferenza è finita gli è andato incontro tutto un corteo di Madonne Addolorate e San Giuseppi piangenti. Io ho atteso che la sala si svuotasse. A quel punto, Sieni mi ha guardato e brutalmente mi ha chiesto: Tu cosa vuoi? Niente, gli ho risposto. Volevo solo salutarlo, in effetti. Così, l’ho salutato e sono andato via; mi sono letteralmente dissolto.

In realtà io mi ero iscritto a un open call, due settimane prima, attraverso un sito di arte contemporanea e di danza. Avevo letto questo bando di Cango in cui cercavano danzatori non professionisti e avevo compilato il format senza ricevere alcuna risposta. Solo il lunedì, dopo la conferenza al MiArt che si è tenuta di sabato, sono stato contattato. Martedì sera, perciò, ero a Cango per la presentazione del progetto Cenacoli, in cui venivano spiegati gli obiettivi e le tematiche del “Grande adagio popolare” ideato per la città di Firenze e i suoi luoghi identificativi.

Qual è stato l’impatto con la pratica di Virgilio Sieni?

Già al primo incontro, nella sala prove a Cango, Virgilio Sieni ha messo in atto la sua pratica, la sua riflessione lunghissima sul corpo: su che cos’è, come sentirlo in relazione agli altri corpi, cosa trasmettere agli altri corpi che devono vederci… Una pratica continua, che non si esaurisce nel lavoro in sala prove, ma è un’attitudine, un’attenzione scrupolosa a tutta una serie di aspetti della vita, come l’alimentazione, il rivitalizzarsi attraverso l’arte, il cinema, la natura…

Un’attitudine pedagogica, benché Sieni non si definisca propriamente un maestro.

Sieni non ha mai fatto formazione in senso stretto, nel senso di cui molte istituzioni della danza e del teatro abbondano attualmente. Non ha mai fatto workshop o scuole di formazione. Altro rispetto a questi è l’Accademia sull’arte del gesto, dove io sono stato toccato: la mia mano è stata presa, portata per terra sul pavimento di Cango; io stesso, insieme a Virgilio, sono rotolato tre volte per terra. Sono stato toccato e ho capito non solo come fare ma perché fare quel gesto. Un passare dalla testa al cuore e al corpo. Ecco, la natura del corpo è un altro tema sul quale Virgilio Sieni si è molto interrogato a partire dal De rerum natura di Lucrezio…

Relativamente alla “natura del corpo”, cosa mi dici di questo rapporto tra danzatori e non professionisti? A parte quello che ti può trasmettere il maestro, come avviene la trasmissione dell’esperienza nel lavoro orizzontale tra assistenti, danzatori e amateur?

Ognuno di noi ha una pluralità di gesti, ha già una propria memoria, una propria archeologia; il gesto ce l’abbiamo all’interno del nostro corpo. Il danzatore professionista ha tutta una serie di maniere e stereotipie che un bravo coreografo deve decostruire e che l’incontro con gli amateur può ulteriormente frantumare. Così come gli amateur possono essere guidati dall’esperienza dei professionisti. Gli assistenti di Sieni sono, invece, degli interpreti che hanno inglobato il vocabolario di Sieni, un archivio di segni estremamente raffinato, giustamente riconoscibile dopo anni di attenzione al gesto e alla coreografia, a cosa restituire al pubblico.

Un lavoro di distillazione del gesto…

Il gesto non è gettato lì in una capsula nera. C’è una creazione, c’è il senso di cos’è una performance. E’ il motivo per cui ho deciso di partecipare a questa esperienza.

Ritornando al gruppo, come si svolge il lavoro al suo interno, quanti siete nell’azione coreografica, come ti trovi tu?

Siamo 13. Come in tutte le comunità, in tutti i gruppi e le convivenze, ci sono delle energie che con alcune persone senti fortissime, con altre più deboli, con altre sono energie tra il fastidioso e il riconoscere alcuni stereotipi che esistono in tutti i contesti. C’è una pluralità di segni e di forze: ecco due parole coreografiche. Il lavoro ha come prerogativa il presentare una costellazione di gesti, come vuole l’Accademia sull’arte del gesto. Nel mio gruppo non ci sono gli amateur puri, c’è chi lavora nel teatro, c’è chi danza in altre compagnie…

Un altro tema importante è quello della trasmissione intergenerazionale. Hai nel tuo gruppo persone di età avanzata o disabili?

Nel mio gruppo non ci sono disabili. Ci sono in effetti persone di diversa età, persone con delle grazie altre o comunque corpi non ascrivibili al canone della danza. Ma questa è da quasi dieci anni la cifra del lavoro di Sieni.

Ma chi sono questi amateur? Credevo fossero “personaggi presi dalla vita”…

Meno nel mio gruppo, ma ci sono anche quelli presi dalla vita, naturalmente. Così come ci sono danzatori che lavorano sulla decostruzione delle sovrastrutture che la danza gli butta addosso. Con me, invece, c’è da fare un lavoro diverso, di coordinamento della frammentazione del corpo. Il lavoro di Sieni è di ridurre all’essenziale, all’archeologico il gesto.

Cenacolo di Sant'Apollonia, Cenacoli fiorentini#5_Grande adagio popolare, ESODO, 2015
Cenacolo di Sant’Apollonia, Cenacoli fiorentini#5_Grande adagio popolare, ESODO 1, 2015

Mi sembra di riconoscere molte affinità estetiche e teoriche tra la tua ricerca e quella di Virgilio Sieni.

Io credo negli incontri karmici. In questo mio momento storico, biologico, biografico, io avevo bisogno di questo incontro. Forse anche saturo delle arti visive, avevo bisogno di un riferimento che prendesse in considerazione il corpo. Per me il corpo è un dispositivo sociale politico fortissimo. Una delle riflessioni più importanti che porto avanti, insieme a quella dell’archeologia del territorio, è il corpo come political agency. Avevo bisogno di confrontarmi con chi veramente del proprio corpo avesse fatto il suo calvario: perché un danzatore è un po’ come un atleta, però l’atleta non ha sensibilità estetica, invece il danzatore purtroppo ce l’ha, e questa è una cosa che mi interessa moltissimo. Pur odiando virtuosismi, simulazioni, emulazioni e barocchismi, sono estremamente attento a ciò che accade a un corpo nel contesto in cui si muove.

Il lavoro di Virgilio Sieni, potrebbe essere scambiato per un lavoro sociale, per il modo in cui incrocia le generazioni, i mestieri e si spinge nei luoghi altri della città, in realtà ha una dimensione eminentemente politica, piuttosto. La sua è una pedagogia che agisce nella polis, più che nella società. Non trovi?

Sì, io credo che l’arte quando è veramente sentita può creare questa incursione nella ricomposizione o scomposizione di alcune logiche di organizzazione o disorganizzazione della città. Queste sono le parole chiave per costruire o decostruire quello che si vede o quando si viene coinvolti in un’operazione come quella di Sieni.

Volevo proporti un altro tema politico, quello dell’Utopia. L’utopia di far danzare il mondo intero, vecchi, bambini, artigiani, stranieri, disabili; allargare gli orizzonti della danza. Che ne pensi?

L’utopia di far danzare il mondo intero la possiamo comprendere. I dispositivi sono quelli messi a punto dall’Accademia sull’arte del gesto, diffusi in moltissime città del Mediterraneo, da Marsiglia a Istanbul. Un esperimento enorme, per quantità e qualità di risorse dispiegate.

Cenacolo di Sant'Apollonia, Cenacoli fiorentini#5_Grande adagio popolare, ESODO, 2015
Cenacolo di Sant’Apollonia, Cenacoli fiorentini#5_Grande adagio popolare, ESODO 1, 2015

Rispetto al “fare comunità”, altro tema fondamentale dell’Accademia sull’arte del gesto, volevo sentire il tuo punto di vista.

Devo necessariamente, una volta di più, partire da me, che sono ancora dentro quest’esperienza di scontro-incontro, attraversamento di corpi e, appunto, comunità. Questo lavoro è, per me, un esercizio di studio, di analisi, di profonda riflessione su come un maestro può lasciare un segno. Avevo bisogno di un segno e di un confronto teorico pratico che mi facesse affinare come artista e come individuo.

In un lavoro come questo si formano indubbiamente delle comunità, che non è fare un open call e mettere insieme cento persone solo perché si dirige un grosso centro. Io non ho interagito con tutte e sessanta le persone coinvolte nel progetto Cenacoli, ma con tre almeno sì, e in modo profondo. Si creano piccoli gruppi, che non sono esattamente delle comunità ma piuttosto dei rizomi che possono germogliare, anche oltre la dimensione coreografica: penso all’ospitalità che ho trovato, alla solidarietà di alcune persone che ho incontrato nel gruppo. Il creare comunità non è uno slogan da vendere ai giornalisti, ai critici, o buono per compilare i bandi istituzionali per ricevere i famigerati fondi di produzione europei. Un lavoro del genere ti catapulta nella possibilità di sperimentare comunità non dettate solamente da necessità funzionali, ma comunità di mutuo ascolto, nate dall’urgenza di connettersi con l’altro a partire dal corpo, dal gesto. Io credo molto in questa potenzialità, perché questa è anche una funzione del mio lavoro di artista, al di là del creare un dispositivo che è quello della performance, del film o della conferenza. Creare dei meccanismi di possibilità affinché ci connettiamo ad altri in maniera empatico-energetica, che non ha nulla a che fare con le magie, così di moda adesso.

Ti sei chiesto cosa ci sarà dopo questa esperienza, dopo questa tua caduta da cavallo a Damasco?

Confido nella possibilità di continuare un dialogo con un maestro, o quello che nel mondo anglosassone si definisce mentor, colui che fa pedagogia, didattica prendendoti per mano. Mi piacerebbe incontrare ciclicamente Virgilio o le persone che ho conosciuto a Cango per raccontarsi, ricevere delle attenzioni affinché noi giovani veniamo compresi e sostenuti. Perché avvenga un passaggio di testimone tra generazioni – visto che si parla di tracce, di depositi, di frammenti – come in un rito iniziatico, per ricevere un lascito, un’eredità. La formazione di Virgilio viene anche dalle arti orientali, in fondo. Ha studiato per decenni la danza orientale che è un dispositivo completamente diverso dalla danza occidentale, pensata per l’intrattenimento della borghesia… A lui non interessa lo spettacolo come intrattenimento, ma la trasmissione dei rapporti tra corpo, arte e natura.

A proposito di questo, vorrei sottoporti un’altra parola chiave del lavoro di Sieni: “popolare”. Adagio popolare nel senso di appartenente al popolo, di rivendicante un popolo?

Sì, da non confondersi con il folklore. A lui interessa la coralità, la frammentazione, il frastagliamento dei gesti, in un rinnovato rapporto tra corpo e polis.

Io credo che il “popolare” entri anche nel modo di dirigere un gruppo, cosa che per me è essenziale, perché da qualche tempo, e questo è un altro punto di svolta nel mio lavoro, sono passato dall’autodirezione alla direzione di lavori giganteschi che prevedono la partecipazione di molte persone. Ecco, volevo misurarmi con una modalità di direzione di un gruppo, di una comunità, che non fosse impositiva, o verticistica o autoritaria.

Come vedi l’ingresso del gesto coreutico in un luogo istituzionale come la biblioteca di San Marco, un “luogo del potere” come dici tu, storicamente connotato?

A un certo momento c’è la necessità di confrontarsi con delle istituzioni museali e, attraverso il proprio esserci all’interno, attivare delle possibilità, dei segnali di intendere quel luogo in un altro modo; per ridisegnarne i meridiani e i paralleli, le coordinate strutturali; per ridargli un significato. Credo che la lungimiranza, la visionarietà di un artista consista nell’entrare in questi luoghi non in modo servizievole, in punta di piedi come se si fosse in chiesa, per collocare bene un’istallazione o un quadro o le luci, ma per riappropriarsene secondo modalità nuove, per ridisegnarne l’utilitas. Entrare in questi luoghi serve ad attivare una nuova consapevolezza rispetto alla loro destinazione originaria. In San Marco sono conservate opere del primo Rinascimento: perché non instaurare un dialogo, una continuità dialettica tra la storia e il contemporaneo? Se non c’è l’esigenza di un dialogo reale, se non c’è un’interazione vivificante, una Deposizione dell’Angelico o l’Ultima Cena del Ghirlandaio io le guarderò semplicemente come fruitore passivo, senza comprenderne il senso storico profondo.

La Biblioteca di San Marco è a pianta basilicale, divisa in tre navate. La vostra azione coreografica avverrà nella navata centrale, con il pubblico lasciato libero di muoversi intorno ad essa, lungo le navate laterali. Lo spettatore è chiamato a una partecipazione attiva, non è obbligato a fermarsi in un punto preciso o ad assumere un punto di vista frontale. Questa è un’esperienza che frattura lo sguardo.

Questo si definisce un site specific in arte contemporanea, e corrisponde a un’attenzione, a una sensibilità per il luogo in cui si agisce. È un’azione creata specificamente per quel luogo. Questa coreografia è ideata, cucita sul luogo della biblioteca di San Marco. Se si porta in un altro posto perde la sua valenza.

A proprosito del dialogo tra l’antico e il contemporaneo, in un luogo come San Marco, fortemente caratterizzato dalla prospettiva lineare-accidentale brunelleschiana dei dipinti dell’Angelico, che postula un unico punto di vista, mi sembra che invitare il pubblico a seguire l’azione teatrale camminando e modificando continuamente la propria visuale, crei un cortocircuito con il paradigma matematico rinascimentale, rigenerando la fruizione del luogo in senso quasi cubista.

Certo, risignifica, ridisegna il luogo. Siamo all’interno di una moltitudine di punti di vista, in una concezione urbanistica della danza. Del resto coreografia è disegnare con i corpi. Ma tutto questo fa parte della poetica di Virgilio Sieni.

Virgilio Sieni
Virgilio Sieni

Carmelo Argentieri

Prenotazioni per le azioni coreografiche attive dal 7 giugno, telefono Cango: 055 2280525

Per saperne di più:

Sito ufficiale di Virgilio Sieni

Virgilo Sieni, La trasmissione del gesto, Firenze, Maschietto editore, 2009

Virgilio Sieni, Grande adagio popolare. Quattro azioni coreografiche per quattro cenacoli fiorentini, Firenze, Maschietto editore, 2011

Sergio Racanati su vimeo

Sergio Racanati su Art Hub

Sergio Racanati al MoMA

 

 

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